Teatro

LONDRA, Fidelio

LONDRA, Fidelio

Londra, Royal Opera House Covent Garden, “Fidelio” di Ludwig van Beeethoven L'INDICIBILE GIOIA DELLA MUSICA Fidelio, unica e travagliata opera teatrale di Beeethoven, trasferisce al teatro la nobiltà del linguaggio sinfonico e i concetti ideali di Libertà, Eroismo, Fedeltà, Gioia, propri della morale beethoveniana ed è spesso considerata un‘opera “antidrammatica”, più da ascoltare che da vedere, apprezzata nella sua straordinaria tessitura sinfonica e corale, ma di minore interesse da un punto di vista drammaturgico. Dopo una lunga assenza, Fidelio è tornato in scena al Covent Garden in un allestimento del Metropolitan del 2000 con la regia di Jürgen Flimm, che già allora vedeva Karita Mattila protagonista, ambientata nel dopoguerra, durante una generica dittatura in un luogo imprecisato, ma tradizionale e fedele al libretto. L’azione si svolge in uno scarno, grande e grigio stanzone, in cui coesistono due opposte realtà: quella familiare-domestica, con la tavola apparecchiata e i vasi di fiori (a suggerire un’intimità domestica piccolo-borghese) e quella inquietante della prigione, con le celle dei prigionieri addossate alla parete opposta, vicine a tavoli da lavoro di un arsenale militare. La contiguità di situazioni sceniche diverse è pertinente e riflette la compresenza di stile comico e tragico che caratterizza l’opera e che è propria del Singsspiel tedesco. Grandi portelloni metallici, da cui cercano invano di entrare le masse alla ricerca di perduti congiunti, contribuiscono a creare isolamento e claustrofobia. Nel secondo atto la scena è sotto terra, vuota e così buia che si stenta a distinguere un informe Florestan schiacciato a terra; cumuli di valigie e di indumenti abbandonati evocano noti stermini e l’atmosfera è opprimente. Il buio comunica un gelo sepolcrale e l’orchestra potenzia la tensione drammatica con suoni cupi e inquietanti che ben preludono al lamento di Florestan. Alla fine appare un cielo da happy end smaccatamente azzurro con, donne e bambini in festa a riabbracciare i familiari ritrovati e una torreggiante impalcatura patibolare accoglie il tiranno spettatore della gioia e commozione collettiva. Molto curati i gesti e la posizione degli interpreti nello spazio. Il movimento scenico è puntuale e si compenetra con le frasi orchestrali e con il canto e la forza emozionale della musica ne risulta amplificata. Il quartetto del primo atto non è solo musica da puro e sublime ascolto che sospende l’azione, diviene agito, i movimenti definiscono i personaggi al di là del momento contingente inserendoli in una prospettiva più ampia nell’economia dell’opera e caricandoli di valori “eterni”. Karita Mattila plasma un personaggio intenso e credibilissimo (anche dal punto di vista fisico) facendo trasparire e, al tempo stesso, cercando di trattenere tutta l’ansia e le emozioni di Leonore. Ed è tale lo sforzo di immedesimazione nel ruolo maschile che indugia ad abbandonarsi ai veri sentimenti e solo nella sua grande aria “Abscheulicher! Wo eilst du hin“ appare una pudica sensualità nello sbottonarsi la camicia per mettere una mano sul seno, infondendo languore e umana fragilità nella invocazione alla speranza intrisa di lancinante dolcezza. Leonore e Florestan, finalmente ricongiunti, non intonano “O namenlose Freude“ nel convenzionale abbraccio ma rimangono distanti, come impietriti, per riprendersi dallo shock della felicità dopo un’attesa e un dolore così forti. Ma poi, con un gran crescendo, esploderà la gioia di Leonore, amplificata dal coro finale, e invaderà la sala. La voce del soprano finlandese conserva il bel timbro luminoso, la linea di canto è intensa e incisiva, anche se non esente da fissità. L’ottima tecnica le consente di affrontare con sicurezza la tessitura impervia, dimostrandosi a suo agio negli acuti come nel registro centrale. Florestan, interpretato da Simon O’ Neill, esprime a livello scenico la sofferenza e la solitudine dell’uomo devastato dalla disumana prigionia e in preda all’allucinazione; l’introduzione della sua aria “Gott ..” è ben risolta e la voce suggerisce la disperazione, ma quando attacca l’aria la voce non svetta e non ha lo squillo e il volume richiesti. Ailish Tynan Marzelline ha un’ottima presenza scenica e una voce leggera con facilità nel registro acuto, che contribuiscono a farne una Marzelline assolutamente credibile nella sua delusione amorosa e nel suo comprensibile imbarazzo. Buona e controllata vocalità per Eric Halfvarson nella parte di Rocco, burocrate pavido e conformista schiacciato da un Don Pizzarro protervo e fisicamente prevaricante. Pizzarro /Terje Stensvold ha l’aria da gangster e intona l’aria della vendetta con sadismo e arroganza, il canto è un po’ slabbrato, ma efficace a rendere la minaccia e l’amoralità del personaggio. Robert Murray è un Jaquino impulsivo e ha la violenza dell’uomo respinto. Vocalmente è corretto, ma passa un po’ inosservato, come del resto il Don Fernando di Konrad Jarnot; bene i giovani Haoyin Xue e Krzystof Szumanski, primo e secondo prigioniero. Antonio Pappano ha dato una lettura coinvolgente della partitura, facendo scaturire energia sinfonica e abbandono nel rispetto della misura ed equilibrio beethoveniani. L’ouverture è caratterizzata da morbidezza e fluidità, un suono caldo, intenso, vibrante, con i corni pacati e avvolgenti. La musica si espande, si libra, per poi venire dolcemente smorzata e ricondotta a una forma austera ed equilibrata. Forza e chiarezza pervase da una tensione narrativa costante e da un pulsare vitale che genera dinamismo e sottolinea i risvolti drammatici dei singoli momenti in cui dialogano la parte vocale e quella strumentale. Una direzione aitante, ma non esclusivamente sinfonica, in quanto  la compagine orchestrale dà grande sostegno alle voci. Anche il  coro, diretto da Renato Balsadonna, è apparso in  sintonia con l’orchestra, quando  i prigionieri escono dalle celle  intonano un “leise“ che si fonde con i pianissimi orchestrali per poi espandersi con tensione forte e sentita, ma non gridata; in  “Freiheit”  vibrante e fuso nella  progressione orchestrale, perfetta espressione dell’anelito alla Vita che esploderà nel  travolgente coro finale. E ci resta la gioia.   Visto a Londra, Royal Opera House Covent Garden, il 16 giugno  2007   ILARIA BELLINI